sindrome da rialimentazione

Sindrome da rialimentazione o refeeding syndrome

L’alimentazione e il recupero del peso sono parti fondamentali del processo di stabilizzazione medica necessari per progredire con il trattamento ed eventualmente raggiungere la guarigione. Anche se in genere il processo di rialimentazione è piuttosto sicuro, ci sono molte complicazioni gravi e alcune complicazioni mortali che si possono manifestare a seguito di un periodo prolungato di restrizione. Una di queste è la sindrome da rialimentazione (o refeeding syndrome), motivo per cui il controllo medico può essere di fondamentale importanza.

 

Il cervello affamato provoca deficit cognitivi che rendono difficile per un paziente malnutrito sottoporsi alla psicoterapia. È per questo motivo che la riabilitazione alimentare e il ripristino del peso sono componenti chiave del processo di recupero.

 

Che cos’è la sindrome da rialimentazione 

 

La complicazione più temuta e potenzialmente mortale del processo di rialimentazione è la sindrome della rialimentazione. La sindrome della rialimentazione si manifesta quando i pazienti che hanno sofferto la fame cominciano a mangiare e a metabolizzare le calorie. 

 

Il corpo passa da uno stato catabolico (uno stato di scomposizione dei tessuti per le sostanze nutritive) a uno stato anabolico (uno stato di ricostruzione dei tessuti / crescita).

 

Questo aumento brusco del metabolismo basale e della richiesta energetica e micronutrizionale (ipermetabolismo) porta alla secrezione di numerosi ormoni che contribuiscono a trasferire i sali e i fluidi nel corpo. Il corpo è così affamato di sostanze nutritive che, nel tentativo di ricostruire le cellule, trasporta molti sali dal sangue alle cellule in crescita.

 

Sintomi e complicazioni della sindrome da rialimentazione

 

Nella dieta di rialimentazione, i fattori che aumentano il rischio della sindrome da rialimentazione si individuano nel rapido apporto di carboidrati che stimola la produzione di insulina e provoca uno spostamento di elettroliti (soprattutto fosfato, potassio e magnesio) dal sangue all’interno delle cellule.

 

I sintomi della sindrome da refeeding derivano da questi squilibri elettrolitici e metabolici e possono comparire già entro 24/72 ore dall’inizio della rialimentazione. Livelli bassi di sali come potassio, fosforo e magnesio nel sangue possono portare a complicazioni tra cui:

 

  • debolezza marcata, letargia
  • crampi muscolari, formicolii e tremori
  • insufficienza cardiaca, tachicardia o bradicardia, ma anche edemi (refeeding edema) e dispnea
  • convulsioni
  • confusione mentale
  • nausea e vomito
  • dolore addominale 
  • gonfiore e ritenzione di liquidi
  • coma o morte.

In alcuni casi, anche dopo che la fase più critica è passata, possono persistere sintomi come nausea dopo i pasti o difficoltà digestive. Questi disturbi non sempre indicano una ricaduta, ma possono rappresentare un segnale del corpo che sta ancora adattandosi al cambiamento metabolico e al nuovo ritmo alimentare. È importante parlarne con il team medico per capire se si tratta di una reazione fisiologica o se necessita di una valutazione più approfondita.

È per questi motivi che lo shock da rialimentazione deve essere evitato e, se si verifica, i pazienti devono essere seguiti da vicino da medici specializzati.

rialimentazione

Linee guida per il processo di rialimentazione

 

Ci sono delle linee guida chiare su quando i pazienti malnutriti dovrebbero affrontare il processo di refeeding in strutture specializzate o in un ambiente ospedaliero: grave sottopeso, bradicardia (battito cardiaco lento), aritmie e segni vitali instabili. Non esistono, tuttavia, linee guida chiare su come rialimentare i pazienti una volta iniziato il processo.

 

Le attuali pratiche di alimentazione si basano sull’esperienza e su indicazioni consensuali piuttosto che su dati pubblicati, per cui, non esistono prove scientifiche a sostegno di tali affermazioni. Il mantra dell’alimentazione per molti anni è stato “comincia piano e vacci piano”. La Society for Adolescent Health and Medicine ha pubblicato un documento che lo afferma:

 

“Il rischio di sindrome da rialimentazione dovrebbe essere evitato mediante un graduale aumento dell’apporto calorico e un attento monitoraggio del peso, dei segni vitali, degli spostamenti dei fluidi e degli elettroliti sierici”.

 

Tuttavia, non ha indicato con quante calorie iniziare, di quante calorie incrementare, né con quale frequenza aumentarle.

 

Pazienti con anoressia nervosa: un’alimentazione meno graduale può funzionare?

 

I dati più recenti indicano che un approccio più diretto all’alimentazione è un approccio sicuro, riduce al minimo le complicazioni, previene la mortalità e riduce la durata della degenza negli ospedali. 

 

In uno studio sperimentale nel 2012 di Garber et al. sulla rialimentazione in persone con anoressia, è stato confrontato un gruppo a basso contenuto calorico con un gruppo a più alto contenuto calorico.

 

I pazienti totali erano 56, con un peso medio del 79% del peso corporeo ideale e un’età media di 16,2 anni e avevano ricevuto circa 1100 vs 1800 calorie iniziali: i pazienti con un livello calorico più alto hanno registrato un aumento di peso più rapido, un aumento giornaliero delle calorie maggiore, una degenza ospedaliera più breve (di quasi 6 giorni) ed è stato più probabile che avessero bisogno di un’integrazione di fosfato. Non ci sono stati casi di sindrome da rialimentazione.

 

Casi di studio su una rialimentazione meno graduale

 

Per “determinare l’effetto di un maggiore apporto calorico sull’aumento di peso, sulla durata del ricovero (LOS) e sull’incidenza di ipofosfatemia, ipomagnesemia e ipokaliemia negli adolescenti ricoverati in ospedale per anoressia nervosa” i ricercatori Golden et al. hanno pubblicato uno studio retrospettivo di 310 adolescenti con malnutrizione e una media del 78,5% del peso corporeo ideale al momento del ricovero in ospedale. 

 

I pazienti hanno assunto 1400 calorie vs meno di 1400 calorie al giorno. Lo studio ha mostrato che con più di 1400 calorie hanno riscontrato una degenza ridotta (quasi 4 giorni) e nessun aumento del rischio di sindrome da rialimentazione o bassi livelli di fosforo.

 

Un ospedale pediatrico di Toronto, Canada, ha implementato un nuovo protocollo nel 2011. I pazienti sono stati sottoposti a 1500 calorie al giorno e hanno ricevuto un incremento di 250 calorie ogni due giorni. L’obiettivo dell’incremento di peso per settimana era di 1 chilogrammo e quindi le calorie sono state ulteriormente aumentate per raggiungere tale obiettivo.

 

Con questo protocollo, non ci sono stati casi di sindrome da rialimentazione e solo un paziente su 29 ha necessitato di un’integrazione di fosforo. Anche se questo protocollo ha avuto successo, è stato limitato dal fatto che i pazienti che avevano manifestato anomalie in laboratorio, un qualsiasi segno di sindrome da rialimentazione, e che avevano meno del 70% del peso corporeo ideale, sono stati esclusi.

 

È molto importante tuttavia che il trattamento venga adeguato alle esigenze del paziente. Non esiste un approccio che vada bene per tutti.

 

Il trattamento dopo la diagnosi di refeeding syndrome

 

Sebbene la letteratura sembra passare da un approccio “comincia piano e vacci piano” alla rialimentazione del paziente malnutrito, la riabilitazione nutrizionale deve comunque essere personalizzata per i singoli pazienti. Non ci sono dati sufficienti su come rialimentare gli adulti. La comunità scientifica si pone infatti ancora molte domande:

 

  • È possibile ricavare dati pediatrici e adolescenziali per poi utilizzarli negli adulti? 
  • E per quanto riguarda i pazienti che presentano già anomalie degli elettroliti, come dovrebbero essere rialimentati? 
  • E i pazienti che presentano un peso corporeo inferiore al 70% del peso ideale, in che cosa differiscono? Rischiano di più?

 

La questione più importante è riconoscere i pazienti a maggior rischio di sindrome da rialimentazione e ricoverarli in strutture dedicate. Sebbene i dati suggeriscano che iniziare con calorie tra 1400-1800 al giorno e aumentare di circa 300 calorie ogni due o tre giorni sia sicuro e riduca la durata della degenza, i pazienti hanno bisogno di un attento controllo del sistema cardiaco e degli elettroliti con una sostituzione degli elettroliti in base alle necessità.

 

Come gestire la sindrome di rialimentazione in famiglia

 

In questo percorso di rialimentazione dopo il digiuno, le persone vicine al paziente possono fare molto. In primo luogo, parlare con i medici per conoscere in cosa consiste la sindrome da rialimentazione può aiutare a comprendere meglio il programma di recupero e le sue diverse fasi.

 

Ma ancora più fondamentale è dare tutto il sostegno possibile al paziente. Supportarlo in questo difficile e delicato processo in modo amorevole può fare la differenza. 

 

E, se se ne sente il bisogno, non solo il paziente ma anche la famiglia può rivolgersi a uno psicologo specializzato, così da acquisire maggiore consapevolezza del percorso terapeutico e gestire tutte le emozioni a esso legate.

 

Bibliografia

 

  • Katzman DK. Refeeding hospitalized adolescents with anorexia nervosa: is “start low, advance slow” urban legend or evidence based? J Adolesc Health. 2012 Jan;50(1):1-2.

https://www.jahonline.org/article/S1054-139X(11)00344-2/pdf 

 

  • Garber AK1, Mauldin K, Michihata N, Buckelew SM, Shafer MA, Moscicki AB. Higher calorie diets increase rate of weight gain and shorten hospital stay in hospitalized adolescents with anorexia nervosa. J Adolesc Health. 2013 Nov;53(5):579-84.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/24054812/ 

 

  • Golden NH1, Keane-Miller C, Sainani KL, Kapphahn CJ. Higher caloric intake in hospitalized adolescents with anorexia nervosa is associated with reduced length of stay and no increased rate of refeeding syndrome. J Adolesc Health. 2013 Nov;53(5):573-8.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/23830088/ 

 

  • Kohn MR1, Madden S, Clarke SD. Refeeding in anorexia nervosa: increased safety and efficiency through understanding the pathophysiology of protein calorie malnutrition. Curr Opin Pediatr. 2011 Aug;23(4):390-4.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21670680/ 


Mehanna HM, Moledina J, Travis J. Refeeding syndrome: what it is, and how to prevent and treat it. BMJ. 2008 Jun 28;336(7659):1495-8. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC2440847/.

Articolo revisionato dal comitato scientifico di Lilac

Questo articolo è stato revisionato dal nostro comitato scientifico prima della pubblicazione

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